Parto dal convincimento che vi è una volontà che ci sovrasta in grado di poter stabilire gli incontri amicali che si debbano fare in un determinato periodo della nostra vita. Per mantenere il riserbo non dirò come ho conosciuto Pina Colitta, una persona unica nel suo genere, ma non avrò remore nel constatare che la comunione di intenti ed il raggiungimento di una particolare sensibilità sono la causa dell’essere in sintonia e del fatto di poter incontrare determinate persone in un dato momento. Se c’è affinità, pur nella diversità dei contesti e di carattere, un incontro è sempre arricchente, perché il livello di comunicazione è più profondo e più fluido. Dove c’è fluidità non c’è fatica ma rigenerazione.
Leggendo il suo libro, per giunta molto efficace nella veste grafica, per la felice immagine riportata in copertina una donna che ingloba sul suo petto la proboscide di un elefante e le cui orecchie sembrano stagliarsi, lateralmente, a forma di ali, ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad uno scritto di gran pregio. L’elefante nella cultura orientale lega a sé un forte valore simbolico, egli rappresenta la potenza e la materialità, ma anche la pazienza e la saggezza, così come la donna esprime la sensualità e la dimensione eterea. Il paesaggio intorno invece è prevalentemente lacustre.
La prosa scorrevole e fluente di questo saggio letterario riesce a catturare, sin dall’inizio, l’attenzione del lettore per i rimandi inevitabili agli aspetti letterari,filosofici,socio- psicologici , espressione dello spessore culturale dell’autrice,
La comunicazione della Colitta appare essenziale, priva di ripetizioni e frasi retoriche. La parola diviene un distillato della mente. E dunque possiamo dire che è presente una comunicazione inedita, che si crea istante per istante, sgorgando dalla spontaneità e non dal manierismo.
“In odorato…di santità” è il titolo scelto per annunciare proprio questa verità che nell’ordinarietà del vivere si è propensi a superare il proprio limite grazie alla tenacia ed alla pazienza, due espedienti che ci sollecitano a non perdere mai di vista i nostri convincimenti ed i buoni propositi. Spronati dall’ alter ego, di platonica maniera, è dato seguire nell’opera un dialogo sferzante e ben strutturato. La forma scelta dunque è rappresentata dal dialogo in cui due entità distinte sono le protagoniste del racconto. Esse fanno parte in realtà di un’unica dimensione conoscitiva, quella che riesce a penetrare nella “crosta di forme” al di sotto della quale vivono emozioni e sentimenti. Anna è la parte emozionale, Betta è la parte razionale colei che fa riflettere e che riesce a tirar fuori certezze e dubbi di ogni sorta. Nonostante le differenze, insieme riescono, con la scrittura, a relazionarsi ed a conciliarsi su questioni di vario genere e di differente levatura. Nel tessuto narrativo, a volte, è possibile ravvisare il “monologo interiore”, quella tecnica narrativa che presenta in maniera diretta ed immediata i pensieri dei personaggi.
Ed ecco che in un crescendo di intuizioni, sul modo di affrontare l’impervio cammino dell’esistenza, ci sembra di cogliere il fatto che non si debba mai smettere di perdere l’orientamento e la direzione verso cui dobbiamo volgere i nostri passi.
Attanagliati dal dubbio e dalle incertezze, se spinti da nobili ideali, è possibile tuttavia vivere il quotidiano, calati nel “ hic et nunc”, vogliosi di approdare in porti dell’animo sempre nuovi che aprano la mente su nuovi orizzonti. Il segreto, sostiene infine l’autrice , è quello di ritenersi comunque sempre al punto di partenza, perché la vita per farci stare in equilibrio, è dinamismo, è cambiamento.
Socrate, uno dei filosofi più grandi del passato, riconobbe nel “ saper di non sapere” il segreto della sua saggezza. Il fatto di non sentirsi mai arrivati dunque è un ottimo espediente per vivere bene senza esaltarsi e senza abbattersi eccessivamente. Di Ester Lucchese
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