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  Castelli  Castello Angioino MOLA DI BARI (BA)
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Castello Angioino MOLA DI BARI (BA)

RedazioneRedazione—09/10/20120
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Fu costruito, contestualmente alla riedificazione della città e a ridosso delle sue mura, per ordine di Carlo I d’Angiò tra il 1278 ed il 1281 per difendere la costa sud-barese dalle frequenti incursioni dei pirati. La direzione dei lavori venne affidata ai celebri regi carpentieri Pierre d’Angicourt, per le opere murarie, e Jean da Toul, per la carpenteria. Fu costruito dapprima il palazzo regio, odierna ala sud-est, e poi il castello vero e proprio, con la collaborazione di progettisti francesi e costruttori baresi, di cui si legge un’attenta documentazione a dimostrazione dell’accuratezza dell’opera. Per questo il castello di Mola appare invincibile, dotato di ottima fabbrica, feritoie, merli, caditoie, cannoniere, quindi eccellenti sistemi di difesa. L’ipotesi più accreditata sull’aspetto originario del castello è quella che fosse costituito da una torre rettangolare a tre livelli, guarnito di merli e difeso da caditoie e feritoie. Del complesso angioino, nucleo focale dell’attuale castello, probabilmente situato fra gli odierni bastioni Sud ed Est in corrispondenza dell’ingresso principale, si sono rinvenuti resti murari costituiti da conci in pietra rozzamente squadrati secondo la tecnica muraria dell’epoca, caratteristica di quasi tutte le costruzioni militari. Verso la metà del XIV secolo il castello fu rinforzato con due torri cilindriche in pietra viva poste a sud e ad est della torre angioina. Allo stesso periodo potrebbe risalire la costruzione dell’antico portale di accesso in pietra, posto a breve distanza dall’ingresso, lungo le mura angioine ma a livello inferiore, sotto la cortina est. All’inizio del XV secolo venne effettuato un consolidamento delle fortificazioni: alle cortine si aggiunse la realizzazione di un puntone a forma di pentagono irregolare, con conci in tufo carparo ancora oggi rintracciabili sotto l’estremità ovest del castello. Dopo alterne vicende il castello subì delle trasformazioni ad opera di Gaspare Toraldo che vi fece costruire ad intervalli regolari parecchi torrioni di forma circolare, uno dei quali è ancor oggi esistente. In epoca Aragonese, con la scoperta della polvere da sparo si verificò un sostanziale cambiamento delle strategie militari: i castelli costruiti in precedenza, a difesa prevalentemente verticale, dotati di alte mura a strapiombo per evitare la scalata, in seguito non furano in grado di opporre un’adeguata resistenza alle pur rudimentali armi da fuoco. Da qui la necessità di creare barriere che consentissero di ammortizzare l’urto delle palle di cannone. Tuttavia, data la novità della situazione, si preferì lasciare accanto alle cannoniere le caditoie, difese più tradizionali ma di efficacia sperimentata. Di qui l’originalità del maniero molese in cui si sovrappongono, stratificandosi, le esperienze architettoniche e militari di epoche diverse. Quindi alle mura verticali angioine furono addossate mura oblique, riempiendo le intercapedini con terra e materiale di risulta; furono create piazzole interne per l’artiglieria e le mura furono abbassate per consentire il tiro radente; sorsero inoltre bastioni per il tiro fiancheggiato, cioè per proteggere le cortine di muro comprese fra un bastione e l’altro. Tra il XV e il XVI secolo l’edificio seguì le sorti della città e passò attraverso le mani di diversi feudatari, resistendo a numerosi attacchi senza essere mai espugnato. Tuttavia i notevoli danni subiti con l’assedio veneziano del 1508 ne imposero un radicale restauro, avvenuto pochi anni più tardi, durante il regno di Carlo V, su progetto dell’architetto militare Evangelista Menga da Copertino, che gli diede l’attuale forma di poligono stellato. Un fossato comunicante con il mare circondava l’edificio, che era collegato alle mura della città per mezzo di un ponte. Avendo perso lo status di città regia tra XV-XVI sec. per indebitamento della Corona, Mola vide l’avvicendarsi di una notevole serie di feudatari, fino al momento in cui cadde nelle mani del mercante ebreo portoghese, conte Michele Vaaz, che per i suoi modi dispotici non fu mai gradito ai molesi che cercarono di riscattarsi con una causa portata avanti fino a metà XVIII secolo. Il castello fu utilizzato fino al XVIII secolo, poi, abbandonato, cominciò a subire un progressivo degrado fino al crollo parziale delle volte di copertura e di circa la metà delle cortine delimitanti il cortile interno, oltreché alla perdita di tutti gli orizzontamenti lignei. A completare tale quadro d’abbandono e di degrado, negli anni Cinquanta fu costruito un cinema addossato alle cortine del lato ovest, col completo stravolgimento delle caratteristiche architettoniche ed ambientali del complesso monumentale. Dopo scrupolosi restauri portati egregiamente a termine, il castello appare oggi splendido e fiero, segno della potente identità di Mola di Bari. Sono stati recuperati l’originario accesso est ad arco ribassato, percorsi ipogei, un suggestivo terrazzo panoramico, la cortina ovest. Alcune delle sale al pianterreno e al primo piano sono oggi affascinanti location per conferenze e altri importanti eventi culturali e artistici. Altre notizie su questa inespugnabile fortezza sull’Adriatico, si possono trovare al seguente

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Armonia è un etimo stupendo! Il creatore delle parole non poteva inventare altro termine per esprimere il concerto di bellezza che insiste in esso. Armonia in un insieme di note, di strumenti, armonia di una comunità di persone… E’ davvero difficile che nella società in cui viviamo, di questi tempi, regni armonia, poiché sembra che il bisogno ancestrale più intimo e infimo di ogni persona sia quello di ferie e imbrogliare il proprio simile, invece di privilegiare il rapporto ed il dialogo,per l’ appunto, in una società che è contrapposta per idee ed interessi di casta, credi religiosi e politici. Armonia sta operando affinchè il confronto di idee nella piccola comunità di San Giorgio, possa tradursi in arricchimento culturale dei lettori e di chiunque vorrà avvicinarvisi. Anche la presenza di una modestissima ma appassionata (perchè è soltanto passione che muove la redazione) realtà editoriale contribuisce a formare “bene comune”. E il bene comune sarà l’unica lucida follia che la redazione vorrà contribuire a perseguire.

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